E lo chiamano arredamento... di Francesco Cascino (15 Agosto 2024)
Come si comincia a parlare di una cosa che tu fai da 20 anni e il quotidiano La Repubblica non solo la scopre oggi ma la chiama arredamento? Non c’è un modo elegante per dire che ci siamo arrivati prima, e nemmeno di non farli apparire ottocenteschi e privi di ogni forma di innovazione, curiosità, coraggio di rompere lo schema. Mi spiace, sembra polemica ma non vuole esserlo; è solo passione, esperienza e competenza, mia e di moltissimi altri arrivatici anche prima di me, che prende forma di impegno civile e desiderio di condivisione per il bene pubblico. E privato.
Questo scrive La Repubblica oggi
Tutti quelli che si occupano di cultura autentica sanno bene che il participio presente del verbo "coltivare" non vuol dire quanti libri hai letto o quante opere d’arte, piece teatrali e film hai visto, ma quanti ne hai compresi, fatti tuoi e portati nelle tue sinapsi per migliorare la tua vita quotidiana, le tue visioni, il tuo mondo e quello che ti circonda. Il resto è suggestione effimera per sguardi inquadrati dal mainstream; il miglior nutrimento per giornali e sistemi di potere che, senza la violenza di un tempo ma con lo stesso apatico cinismo, ti portano a comprare o scegliere quello che vogliono loro, facendoti pensare che l’abbia voluto tu.
Te ne accorgi da mille cose: dici quello che dicono tutti, segui quello che le stesse frasi fatte le urla di più, muovendo il corpo secondo gli schemi della PNL, infallibili su chiunque non abbia senso critico e autonomia intellettuale, costruita appunto da arte e cultura che nutrono l’immaginario di senso, non quello della fantasia fine a sé stessa, per intenderci.
L’immaginario costruito e nutrito per millenni nelle civiltà che si basano su arte e immagine intelligente è la vera cultura, quella profonda e partecipata, e non solo resiste agli urti del tempo - perché non è moda, è il suo contrario: risposta ai bisogni atavici - ma produce innovazione reale, dalle imprese al singolo, dalle istituzioni alle comunità. Per quello oggi siamo così poveri come classe dirigente; sono cresciuti a telenovelas e pubblicità regresso, immagini fatte apposta per fermare la crescita neurobiologica dell’intelligenza emotiva e tenerla al passo con i trend, gli influencer, i venditori di nulla. Peccato che il prezzo da pagare sia altissimo, per tutti, imprese comprese.
Perché anche le imprese intelligenti non vengono comprese...
È vero che molte imprese rispondono con l’arte al degrado attuale solo per posizionarsi e rifarsi il look, come improvvidamente scrivono qui sopra nei loro titoli a effetto, non avendo titolo a parlare di una disciplina millenaria e complessa, ma molte altre ne hanno invece compreso il senso profondo e generativo e non usano l’arte, si lasciano usare dall’arte. Si lasciano conoscere, esplorare, trasformare, evolvere e scardinare, perché questo fanno i veri artisti, quelli che scrivono la storia; la nostra storia, non la loro.
E questo hanno fatto gli artisti per i Re, i Papi, le grandi famiglie, i grandi condottieri che oggi vivono nel nostro immaginario a millenni di distanza, alimentando le nostre visioni, tenendo in vita le radici, facendo crescere i nostri rami nuovi: hanno espresso le mission dei committenti solo dopo averne fatto affiorare le contraddizioni. I grandi uomini e le grandi donne se lo lasciano fare, il resto sono ferri del mestiere e ferragni da cattivi maiestri che non lasciano traccia o, peggio, si trasformano da influencer in danneggiatori ufficiali.
Perciò è vero che l’arte è ANCHE un affare, da professionista di mercato e di progetti culturali trovo giustissimo che lo sia, ma si comincia a parlare di arte quando si esprimono valori visibili e invisibili che ci tengono in vita, identità di luoghi, persone, imprese, processi, comunità e territori, da sempre; altro che orpelli decorativi o street art a indorare gabbie e illudere con suggestioni effimere. Gli artisti e i curatori responsabili dialogano con la committenza e gli shareholders per comprenderne prima i desideri, le passioni, le sofferenze e gli obiettivi, e solo poi, insieme a loro, producono arte che porta in emersione problemi e opportunità, rendendoli più facili da leggere e quindi da risolvere o raggiungere. L’arte crea valore, oppure è manierismo.
Le forme della classicità che vedete qui sopra sono alle Centrale Montemartini di Roma, luogo unico al mondo che ho raccontato su Rai3 l’anno scorso, parte integrante dei Musei Capitolini; non trovate un’assonaza erotica tra macchinari di fine Ottocento e statue dell’antica Grecia? Il lavoro, l’ingegno, le idee, la fantasia che producono evoluzione: tutto questo viene dall’Art Thinking, il vero Made in Italy. Altro che lusso effimero.
L’installazione che vedi sopra era lo stand di Hermes alla Pelota di Milano per il FuoriSalone 2021; come la maison di moda, molti altri brand di design hanno affidato agli artisti la narrazione immaginifica e visiva dei loro prodotti, ma l’hanno fatto senza didascalie, creando esperienze vere, mica immersioni digitali o pubblicità anni ’90. Questa forma evoluta di comunicazione culturale, che in realtà è informazione sensoriale ed emotiva, quella che resta per sempre, noi la facciamo dal 2004 con gli artisti e le artiste di ricerca. Perché? È semplice: la mente è evolutiva per natura, per cui se la fermi ti ammali. E questo vale per ogni attimo della vita, dal lavoro all’amore, dal tempo libero e quello progettuale. Noi mettiamo arte, artisti e art thinking ovunque e in ogni luogo, processo o relazione.
Qui sopra e qui sotto puoi vedere addiruttura l’installazione che Stone Island affidò a un artista per raccontare un SUO FALLIMENTO, così da far entrare le persone nei suoi processi reali, fatti di impegno, errori e valori concreti. Siamo sempre al FuoriSalone di Milano, l’evento più importante al mondo, siamo sempre nel 2021, anno terribile per chiunque. Quando si dice il vero coraggio dell’imprenditore visionario. L’arte si unisce all’industria sin dai tempi di Olivetti, e così nascono le imprese di valore. In realtà la storia dell’Art Thinking comincia molto prima...
Qui (sotto) siamo a Torino, alle OGR (Officine Grandi Riparazioni) che anni fa hanno deciso di trasformare tutta l’area in un distretto culturale, partendo dagli spazi industriali che per loro natura offrono luce e accoglienza molto superiori. Ma perché? Perché si è dato più spazio al lavoro che alla vita, ecco l’enorme errore del ’900. Il pragmatismo asfittico e polveroso ha avvelenato l’eros e la seduzione dei rapporti, del tempo libero, della vita stessa, distrutto famiglie, rovinato amicizie; non è retorica, è dolore. Oggi nei contesti evoluti non funziona più, per fortuna, e i giovani rifiutano impeghi che sacrificano i loro anni migliori, mentre tutte le capitali di Paesi e regioni importanti, nel mondo, creano distretti come questo e anche molto più grandi, come potete leggere qui. Luoghi imperdibili dove idee, progettazione, produzione e arte diventano un’unica cosa e si parlano ogni attimo, scambiandosi identità e visioni con gli abitanti, gli artisti, gli studenti, gli anziani e gli imprenditori.
Sarebbe bello, utile e stimolante vivere in un Paese dove questo enorme patrimonio immateriale di conoscenza, esperienza e sensibilità fosse di dominio pubblico, a cominciare da una classe dirigente che non scambia l’impero romano per quello dei Puffi, fino ai media che finalmente imparano a filtrare le informazioni con le lenti della contemporaneità invece di generare altri luoghi comuni quando noi, ben oltre gli slogan da bar della superiorità italiana, che non esiste, per fortuna, siamo nati in luoghi bellissimi permeati di armonia e ce ne abbiamo messa di nostra a renderli più accoglienti, intelligenti e seduttivi.
Accoglienza, convivenza e incontro sono la linfa vitale del mondo; sentirsi uguali agli altri rende felici, sentirsi superiori alimenta solo i propri complessi. Salvo non siano band musicali che fanno ricerca, i complessi creano solo stonature.
Ti suona?
Francesco Cascino
Roma, 15 Agosto 2024