L’asta di Chistie’s del 18 maggio 2023 a New York ha totalizzato vendite per 922 milioni di dollari. Si tratta di opere del ’900 e di alcuni contemporanei, tra cui molte artiste bravissime che finalmente sono state tirate fuori dal cono d’ombra dello sguardo culturale orientato al maschile proprio dall’arte e dal suo sistema internazionale. Sempre per lo stesso motivo: la mente ragiona per immagini e l’arte, da sempre, risolve molti più problemi di ogni altra disciplina culturale per questo motivo. Chi si ostina a dire il contrario non ha nessuna vera intenzione di migliorare il mondo, ha solo un problema di ego ferito e riferito.
L’ostinazione a negare il valore del successo è propria anche di alcuni artisti che non arrivano al Louvre e dicono che è acerbo: possiamo dire che 922 milioni di dollari sono un’enormità se visti alla luce di quanta gente ha bisogno anche solo del pane al mattino. Ed è verissimo, sono io il primo a dirlo. Ma è anche vero che un terzo di quesi soldi va ad attività labour intensive; trasportatori, falegnami, vetrai e altri e poi si distribuisce nelle città e nelle altre attività indirette.
Non solo.
Quest’opera di Basquiat è stata venduta per 67 milioni di dollari, sempre nella stessa asta. E allora? Li vale? Non credo ma se qualcuno la compra non possiamo pensare che sia stupido. Semmai siamo noi che non siamo stati capaci di creare le stesse condizioni per generare quelle cifre, ed è a questo che gli artisti dovrebbero tendere, salvo non siano interessati al mercato. Artisti, consulenti, galleristi e curatori non dovrebbero mai parlar male di altri artisti o operatori, ma proprio mai, e misurarsi solo con le proprie capacità di emergere nel mercato e farsi strada. Perché così fanno quelli risolti. Perché gli unici competitor di noi stessi siamo noi, non un altro. E perché il sistema dell’arte, collezionisti compresi, è preparatissimo, sa quel che fa e non ha nessun motivo di favorire uno piuttosto che un altro. Nessuno. Ci avete mai parlato con un operatore di massima serie? È un’esperienza di apprendimento, garantisco.
In più c’è il tema della ricerca che crea divisioni in cui sguazzano gli squali opportunisti della retorica che paga solo loro e penalizza la crescita collettiva: è mai possibile che siamo tornati ai tempi del Salon des Refusés dove le maggioranze preferiscono cose facili e impattanti, tipo Jago o Mitoraj, e non capiscono che si fermano al gusto che lo show business gli ha imposto? Poi li senti parlare di approfondimento, innovazione, coraggio, visione. Ma di inoltrarsi nell’enigma e staccarsi dalla comprensione facile di un’immagine banale non hanno nessuna voglia.
Non sarebbe più facile per noi occuparci di tramonti, delfini e gattini alla finestra o, peggio ancora, di scultura ricattatoria e già vista nel ’500? Saremmo tutti ricchi. Invece no, ci complichiamo la vita perché la ricerca è stimolante, è etica, è una vocazione naturale di chi si sente parte di una comunità. Telenovelas, Costanzo Show e altri sgarbi neuronali hanno narcotizzato il terzo occhio di molti, quello che spaventa chi vende veleno spacciato per zucchero.
A noi lo zucchero non piace, a noi piace il sapore autentico della realtà reale, non edulcorata, senza sconti né packaging per spettatori ammaestrati. A noi piace il mercato con la M maiuscola che fa cultura e aggiunge valore prima ancora che successo, come diceva Albert Einstein.
Uno che a scuola passava per inadeguato.
Francesco Cascino
Roma, 21 Maggio 2023