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IVA al 4 - di Francesco Cascino (Giugno 2013)

imageL’arte, in special modo quella contemporanea, è linfa vitale, emotiva, economica e neuronale.

Ormai non lo dicono più solo gli artisti, che pure lo dicono da centinaia di migliaia di anni, se uno sa osservare l’ambiente e le città in cui siamo cresciuti: lo dicono le neuroscienze, i distretti culturali con la loro produttività, e lo dicono i risultati della finanza e dell’economia. Perché troppi sempliciotti credono che l’arte sia una passione per ricchi, ma non è così: è un’urgenza espressiva neurobiologica. Quindi connaturata all’essere umano, e non solo.

Partiamo dall’inizio, perché con l’imprenditore Marco Genzini - che ha inventato lo slogan IVA al 4! - e gli altri amici del Network ARTEPRIMA, da anni ci occupiamo del bene comune, compreso quello che potrebbe produrre un’IVA intelligente sull’arte e una defiscalizzazione delle liberalità private di aziende e singoli nelle operazioni culturali di alto profilo, quelle della rigenerazione e dell’arte pubblica o nelle imprese, come ho spiegato in questo intervento a PiazzaPulita lo scorso anno e come facciamo da anni attraverso l’education, strumento INDISPENSABILE perché le persone capiscano che l’arte è CONOSCENZA e quindi ci riguarda TUTTI. Una in_formazione che dovrebbero fare tutti gli interessati.

LA DEFISCALIZZAZIONE DELLA CULTURA IN ITALIA È UNA SCELTA INTELLIGENTE

Oggi l’arte è il primo settore economico del mondo. L’Italia, se proprio dobbiamo fare discorsi campanilistici e campati per aria, visto che l’arte insegna a sconfinare, non a vivere nei recinti delle greggi, sembra contare poco sul panorama dell’arte contemporanea e del collezionismo internazionale, invece i collezionisti italiani, da sempre illuminati e coltissimi, sono al quarto posto per spesa sul
Contemporaneo, dopo USA, UK e Cina. L’impressione negativa deriva dal fatto che siamo un Paese non proiettato verso il futuro, che appare ripiegato in una sorta di delirio autoreferenziale delle istituzioni, distanti anni luce sia dagli artisti veri, sia dalle avanguardie sociali: agli occhi del mondo abbiamo un grande passato ma non riusciamo a proiettarci avanti, a fare e supportare ricerca, elemento vitale di ogni contesto evoluto. Il mondo evoluto invece lo sa che siamo bravi, futuristi e grandi esploratori; ma non alla maniera della retorica banale. Le nostre nicchie culturali sono ricercanti che lo Stato italiano costringe a fuggire verso luoghi evoluti. Per i veri artisti la cultura è il participio presente di coltivare, non l’accademia della crusca. È cambiamento quotidiano.

A che cosa si deve allora la percezione di scarso rilievo di cui soffre oggi l’arte italiana all’interno del sistema dell’arte globale? Non alla mancanza di materia prima, cioè di artisti validi e capaci di conquistare attenzione e interesse sulla ribalta internazionale. E nemmeno alla mancanza di professionisti: gallerie e curatori sono di altissimo profilo, tanto che molti critici italiani dirigono i più importanti musei del mondo. Il problema sta piuttosto nel sistema istituzionale che soffre di alcune debolezze strutturali, penalizzando notevolmente i nostri artisti di qualità, costringendo le gallerie a sopperire (con mezzi propri) e alcuni artisti ad andare a vivere e lavorare altrove, dove possono aspirare a una chance di successo internazionale per via della priorità che gli altri Paesi danno all’arte contemporanea, soprattutto a quella italiana.

Le gallerie di ricerca, che in Italia sono tante e spesso molto vivaci, colte e visionarie, faticano a crescere come meriterebbero, essendo le prime complici di un artista, e di conseguenza a investire sui propri artisti in modo adeguato e a garantirne un efficace posizionamento internazionale. Partendo da questo, l’iniziativa necessaria, al di là del potenziamento del collezionismo pubblico e aziendale (che dovrebbe essere fiscalmente incentivato) è l’abbattimento dell’IVA che, come più volte richiesto, andrebbe portata dall’attuale 21% al 4%, com’è già per la Danimarca che equipara l’arte ai libri. Per chi non avesse ancora capito che l’arte è conoscenza: l’immagine - se prodotta da artisti preparati e visionari - trasferisce messaggi e contenuti sensoriali ed emotivi, la ghiandola pineale li trasforma in informazioni vitali e il mondo invisibile si svela attraverso l’enigma intelligente. Quindi l’arte è la prima forma di conoscenza insieme alla musica, al teatro e alla danza.

Diceva Walter Santagata, Economista della Cultura: "Il mancato introito per lo Stato sarebbe modesto, vista la dimensione del settore, e potrebbe addirittura trasformarsi in un introito netto se, com’è prevedibile, questa misura portasse all’emersione di tante realtà che oggi agiscono nel sottobosco del sommerso, in quanto un’IVA al 21% è semplicemente incompatibile con la possibilità di spuntare margini accettabili su un mercato collezionistico che, come è ovvio, è vivace ma è mediamente sensibilissimo al prezzo.” Anche perchè, aggiungo io che sono un Art Consultant, così inibiamo anche l’acquisto alla classe media e a quella meno abbiente, di fatto vietando l’accesso al sapere contempraneo più efficace.

PER NON PARLARE DELLA PROGETTAZIONE CULTURALE FATTA CON L’ART THINKING

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Se si parte dall’assunto che IL MONDO cerca da sempre ARTE ITALIANA, e che la domanda fa crescere l’offerta, non si capisce perché non si vada nella direzione di una vera defiscalizzazione delle liberalità delle imprese e di un abbassamento dell’IVA sul principale valore del Paese. Non si capisce perché la politica non si faccia coinvolgere in questo processo, se davvero ha intenzione di far rinascere una parte importante dell’economia tutta, non solo quella della cultura.

Sappiamo bene, perché siamo operatori qualificati, internazionali ed esperti, che ulteriore sviluppo dell’arte porterebbe crescita occupazionale labour intensive, non solo ai ricchi o alle imprese; corniciai, trasportatori (voce di introito enorme), falegnami, vetrai, allestitori... il cui gettito IVA conseguente andrebbe a beneficio della collettività.

Il Paese dell’arte non è solo un Paese per ricchi e non può essere solo uno slogan per campagne elettorali retoriche e prive di senso del presente. Oltretutto con un’IVA così fuori luogo si favorisce enorme evasione.

IL TEMA SCOTTANTE DELL’IVA SULLE OPERE

Noi quindi riteniamo indispensabile portare l’IVA al 4% sulle opere d’arte contemporanea, attualmente invece al 21%, perché l’arte è CULTURA, non bene di lusso, e una vera classe dirigente dovrebbe saperlo spiegare alle classi meno abbienti, coinvolgendo noi esperti per creare meccanismi virtuosi e innovativi utili a favorire benefici per tutti, nessuno escluso.

Questa riflessione parte dal parallelo con l’IVA sulle opere d’arte dei Paesi direttamente concorrenti, che hanno tassazione e defiscalizzazione molto più intelligenti e in linea con il mondo evoluto, dove la cultura è il vero humus di ogni sviluppo. Solo l’anno scorso la Merkel disse in TV che l’arte è il faro della Germania, per cui IVA e tasse per le imprese devono essere coerenti con questa identità nazionale.

Inoltre, in questo processo di “abbassamento delle tasse” al fine di attivare ulteriori fette di mercato, riteniamo necessario procedere all’innalzamento della defiscalizzazione delle liberalità e degli investimenti in progetti culturali da parte di aziende ed enti no profit. Un lavoro serio, fatto con i veri esperti, quelli che hanno prodotto risultati tangibili (non i critici televisivi senza curriculum, per capirci), porterebbe un beneficio enorme al Paese intero. Nomisma conferma che, a valle di questi interventi, produrremmo 251mila nuovi posti di lavoro.

Insomma, finchè si sottovaluta l’enorme potere immaginifico, economico e simbolico dell’arte, pur vivendo fianco a fianco con il Colosseo e l’Ara Pacis,
IVA resta incompresa.


Roma, Giugno 2013


Francesco Cascino

Contemporary Art Consultant - Cultural Project

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